Giulio Regeni, un giovane dottorando di nazionalità italiana presso l’Università di Cambridge, fu sequestrato a Il Cairo il 25 gennaio 2016, proprio nel giorno del quinto anniversario delle manifestazioni di piazza Tahrir. Il suo corpo senza vita fu rinvenuto il 3 febbraio successivo nelle prossimità di una prigione utilizzata dai servizi segreti egiziani. Il cadavere mostrava evidenti segni di tortura così atroci che persino sua madre riuscì a riconoscerlo soltanto “dalla punta del naso”. Nelle fattezze devastate di suo figlio, vide concentrato “tutto il male del mondo”. In particolare, sulla pelle erano state crudelmente incise alcune lettere dell’alfabeto mediante l’utilizzo di oggetti appuntiti. Questa pratica di tortura era stata precedentemente documentata come caratteristica distintiva delle azioni della polizia egiziana. Di conseguenza, gli indizi si rivolsero immediatamente verso il regime guidato da al-Sisi.
La tragica uccisione di Giulio Regeni ha scatenato reazioni e discussioni a livello internazionale, con particolare risonanza in Italia. In tutto il mondo, ciò ha dato avvio a un acceso dibattito di natura politica in merito al coinvolgimento, e ai presunti tentativi di depistaggio successivi, da parte di elementi all’interno dell’apparato di sicurezza egiziano, e potenzialmente del governo stesso. Questi sospetti hanno generato significative tensioni diplomatiche tra l’Italia e l’Egitto.
Secondo quanto affermato dal Parlamento europeo, l’omicidio di Giulio Regeni non può essere considerato un episodio isolato, ma piuttosto si inserisce all’interno di un contesto più ampio di torture, decessi in carcere e sparizioni forzate che si sono verificate in tutto il territorio egiziano negli ultimi anni.
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