L’ex corrispondente da Roma in lista con Bonino: «Putin è un pericolo, troppi sonnambuli non se ne accorgono». Renzi e l’Arabia? «Inopportuno, ma ora la situazione è seria»
«Rischio di non poter fare il mestiere più bello del mondo. Ma non mi bastava più. L’informazione è essenziale nelle democrazie, ma di fronte all’avanzata delle destre sovraniste estreme, sentivo di dovermi impegnarmi anche in politica». Eric Jozsef è stato fino a pochi giorni fa il corrispondente da Roma del quotidiano francese «Libération» e uno dei più stimati cronisti politici. Ora si è sospeso, per candidarsi nella circoscrizione centro con gli Stati Uniti d’Europa, la formazione di Emma Bonino e Matteo Renzi. Classe 1966, una moglie giornalista italiana, Jozsef è un europeista storico: nel 2018 ha fondato Europa now, associazione che ha condotto molte iniziative per un’Europa vera, politica e sociale.
Un giornalista, e cittadino francese, candidato in Italia. Come si è avvicinato agli Stati Uniti d’Europa?
«Per le elezioni europee si possono candidare anche cittadini di un’altra nazionalità. In Italia fu eletto Maurice Duverger, come indipendente del Pci. Io ho un rapporto di lunga data con Emma Bonino. Mi aveva chiesto già cinque anni fa di candidarmi. Allora rinunciai, ma oggi ci sono troppi fattori pericolosi: la guerra in Ucraina, la crisi in Medio Oriente, la debolezza dell’Europa. Molti cittadini sono spaventati e accettano di rifugiarsi in una narrazione che promette il ritorno a un passato rassicurante, quello degli Stati nazione. Io credo che serva una narrazione alternativa, che faccia capire come gli Stati nazione non abbiano più senso. La Francia rappresenta solo il 3 per cento del Pil mondiale, l’Italia il 2. Da sole non contano più. Serve guardare alle radici dell’Unione europea, che sono la lotta ai totalitarismi e il nostro modello sanitario e culturale. E serve immaginare un punto di approdo: che non può non essere un’Europa federale».
Dopo Bonino, è arrivato Renzi. Lei, nei suoi articoli, non sembrava molto d’accordo con le conferenze pagate dall’Arabia Saudita. E la stessa Bonino pare spesso in contrasto con il fondatore di Italia Viva. Tanto che ieri ha detto in radio che le considera «politicamente inopportune». Molti dicono che il giorno dopo, ognuno andrà per la sua strada.
«Gli Stati Uniti d’Europa sono una lista di scopo. Hanno un obiettivo più ampio. Certo, possono esserci differenze e distinguo e anche io penso che un politico in carica è meglio che non faccia questo tipo di attività, anche se non sono illegali. In Francia, per esempio, non potrebbe succedere. Detto questo, la situazione è talmente seria, con migliaia di ucraini che muoiono al fronte, con le frontiere esterne dell’Europa minacciate da regimi autoritari, che è tempo di concentrarsi sull’essenziale».
Come le è sembrata finora la sua prima campagna elettorale da candidato e non da giornalista?
«Molto provinciale. Sembra che non ci si renda conto del momento storico. La sensazione è che molti siano sonnambuli. Non vedono che, a poche migliaia di chilometri, c’è gente che muore. E che se dovesse vincere Putin l’architettura europea fondata sul diritto sarebbe minacciata».
All’Europa, si dice spesso, manca un esercito comune.
«Prima ancora manca un governo europeo. Se abbiamo un esercito, serve che ci sia chi decide come usarlo. Altrimenti è solo retorica».
E come si fa ad avere un governo vero europeo? Non tutti i Paesi lo vogliono.
«Bisogna porre apertamente la questione sul tavolo e invitare i cittadini a votare su questo. E poi serve che alcuni Paesi accettino di viaggiare a una velocità superiore. Come è accaduto per la moneta unica: partono alcuni e gli altri li raggiungono».
Il presidente francese Macron fa discorsi molto europeisti, ma poi spesso e volentieri procede in autonomia o in asse con il tedesco Scholz, dimenticando l’Europa.
«È la schizofrenia di ogni presidente francese. Da una parte sono tutti profondamente europeisti, dall’altra assecondano gli elettori che pensano che la Francia sia ancora una grande potenza. Ma gli Stati-Nazione non funzionano più».
All’inizio del conflitto, Macron sosteneva che non si dovesse «umiliare» Putin. Poi ha cambiato passo e ad alcuni ora sembra sin troppo bellicoso. Perché questo cambiamento di atteggiamento?
«Per un certo periodo pensava di poter trattare con Putin e di essere un interlocutore privilegiato. Poi, vista la sua risposta dura e la guerra ibrida che la Russia sta conducendo contro la Francia, ha dovuto necessariamente prendere atto e cambiare posizione».
Fa bene ad alzare così i toni?
«Fa bene a dare la sveglia e a dire a tutti che la situazione è seria e che bisogna contrastare l’autoritarismo putiniano. Sbaglia, però, quando dice che si potrebbero mandare sul campo militari europei, perché l’Ucraina non vuole uomini ma armi. E sbaglia anche a lanciare iniziative non concordate prima in Europa».
Putin ha qualche ragione? O la sua è solo una guerra di conquista?
«La sua è una guerra imperialista. Noi occidentali facciamo fatica a concepirlo, perché siamo stati colonialisti ma abbiamo decolonizzato e ormai conquistare terre con le armi è fuori dal nostro modo di pensare. Ma la Russia è rimasta una potenza imperiale. Putin non ha accettato la fine dell’Unione sovietica e usa la guerra per rafforzare il suo potere».
Lei è di sinistra? Anche se si candida con un partito di centro, che finirà in Renew, gruppo europeo centrista?
«Sì, sono di sinistra, vengo dalla grande tradizione socialdemocratica. È vero, è un gruppo centrista, ma al suo interno ci sono anche esponenti di sinistra, come Bernard Guetta, che è stato direttore del Nouvel Observateur, e come l’ambientalista Pascal Canfin».
Glielo chiedo anche perché molta sinistra, in Italia, non sta pienamente dalla parte degli ucraini. Sarebbe eccessivo definirla putiniana, ma molti con il loro pacifismo estremo sembrano non considerare quella di Putin un’aggressione e sembrano chiedere la resa agli ucraini.
«Quella della sinistra che non sta con gli ucraini è un’occasione persa. È inspiegabile che la sinistra non veda come i valori della resistenza, di chi è salito sulle montagne e ha preso le armi contro l’autoritarismo, sono gli stessi degli ucraini. In Francia accade molto meno, anche perché il partito socialista francese ha avuto un’evoluzione anti totalitaria molto presto. Nell’83, durante la crisi degli euromissili, Mitterrand diceva: i missili sono a est, i pacifisti a ovest. Mi rattrista molto vedere la sinistra italiana che chiede la pace a tutti i costi e non capisce che questa è una guerra di resistenza».
Anche su Israele ci si divide.
«Non bisogna dimenticare i morti israeliani del 7 ottobre. La reazione israeliana, poi, è stata eccessiva e ha fatto molti, troppi, morti civili. Io sto dalla parte dell’opposizione israeliana che scende in piazza e sono per la soluzione dei due Stati».
La crisi a Gaza ha provocato un massacro di palestinesi e un aumento dell’antisemitismo nel mondo.
«Sì, c’è un aumento dell’antisemitismo ovunque, particolarmente forte in Francia, dove abbiamo la più grande comunità ebraica e la più grande comunità musulmana d’Europa. Io capisco la reazione umana di fronte ai morti civili palestinesi, ma mi chiedo perché non ci sia la stessa reazione per le vittime ucraine. Perché nessuno parli del Sudan, degli uiguri, del popolo iraniano, dei georgiani. Credo che sia anche a causa di un’interpretazione del mondo vecchia, nutrita ancora di un forte antiamericanismo e di un forte antioccidentalismo».
Come valuta la premier Giorgia Meloni? Sul fronte internazionale e su quello interno.
«Sull’aspetto internazionale è stata molto furba: si è schierata con l’Ucraina e non ha attaccato frontalmente l’Europa. Anche se poi Fdi non ha votato il testo a Bruxelles contro le ingerenze russe, insieme a M5S e Lega. E anche sull’Europa, appena può, manda messaggi imbarazzanti, come il no alla ratifica del Mes. Quanto all’Italia, dopo un anno e mezzo sta emergendo la natura illiberale di Meloni: le censure, la concentrazione di poteri, le querele temerarie, l’Agi, il fastidio per la stampa libera, la riscrittura della storia, i nuovi reati e le pene altissime per i rave e per gli ambientalisti di Ultima generazione. Per non parlare dell’aborto e di quella norma vigliacca che introduce gli antiabortisti nei consultori. Sono troppi i segnali preoccupanti».
E Schlein? Come le pare il nuovo Pd?
«Non mi piace l’ambiguità sull’Ucraina. Non capisco candidature come quelle dell’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio. Io credo che la sinistra debba stare senza se e senza ma dalla parte della resistenza ucraina. E avrei voluto anche che il Pd non fosse federalista solo a parole. Schlein, quando Bonino ha lanciato gli Stati Uniti d’Europa, è venuta, ha fatto un bel discorso, e poi è sparita».
Articolo di Alessandro Trocino
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